È possibile o è solo una moda?
La nuova generazione di Millenial è sempre più attenta agli scaffali biologici e all’impatto sull’ambiente. Tuttavia, la maggior parte di consumatori non sa distinguere tra biologico, naturale, biodinamico, sostenibile, DOCG, ecc…
Partiamo dalla definizione di sostenibile:
uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza ledere quelli della generazione futura.
Questo non significa che i produttori debbano lavorare senza profitto, ma al contrario, è necessario ripensare al modello di business in ottica scientifica: la sostenibilità non è moda, ma scienza. Fortunatamente, in aiuto arriva la legislazione, che tra i criteri per definire ciò che è sostenibile introduce quello del calcolo della Carbon footprint, cioè la misura dell’anidride carbonica emessa durante l’intero processo produttivo.
Passiamo ora a capire come nasce un vino biologico, i passi da seguire sono, sintetizzando, i seguenti:
- insetticidi come il verde rame e lo zolfo in quantità controllate;
- concimi organici con la pratica del sovescio (vale a dire la semina di erbe interrate);
- quantitativo di solfiti inferiore al limite previsto per i metodi convenzionali, e ciò cosa significa? Un controllo più serrato delle temperature e del processo in cantina, per evitare la formazione di batteri sgraditi al nostro vino;
- aggravio di costi in più rispetto a un vino non biologico.
E il vino biodinamico? Questo è una vera e propria filosofia di vita. Il metodo è stato inventato dal professor Rudolf Steiner nel 1924. Tra le regole pratiche troviamo: l’utilizzo del cornosilice e del cornoletame per rendere le piante più sane e fertilizzare il terreno. Tuttavia, a livello europeo non c’è ancora una legislazione di tutela.
Per concludere i vini naturali: escludono del tutto ogni tipo di pesticida, di lievito o enzima per la fermentazione, di zuccheri o mosti concentrati, di filtrazioni/chiarifiche e anche di solfiti (o con una minima quantità).